Alien Romulus, la recensione del film di Fede Alvarez

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Dopo il riecheggiare filosofico di Ridley Scott con Prometheus e Alien Covenant, figli di un mini filone che voleva in qualche modo “spiegare” il motivo della saga originale, ecco che dallo spazio più profondo, dove nessuno (nel film) ma in realtà tutti (in sala) possono sentirvi urlare, nasce questo progetto di Alien Romulus, settima pellicola della saga ideata dal papà di capolavori fantascientifici senza tempo come Blade Runner e lo stesso Alien del 1979: Ridley Scott.

Alla regia di questo Alien Romulus troviamo Fede Alvarez, che si è fatto apprezzare negli anni dal pubblico hollywoodiano e non, per i suoi sforzi cinematografici, soprattutto nell’ambito horror, tra tutti il remake de La Casa e Man in The Dark. Tuttavia Ridley Scott è rimasto alla produzione, ma sembrerebbe che più di qualche giustificato paletto ha voluto inserire ad Alvarez per evitare una qualsivoglia “deriva autoriale”.

Si torna nello spazio quindi, quello oscuro e profondo dei primi film della saga, si esce definitivamente (forse) dalle trattazioni morali, al limite del teologico di Prometheus e si torna negli angusti corridoi di una nave spaziale. Un tributo, quasi un inchino, alle atmosfere claustrofobiche di Alien del 1979. Tuttavia codesto tributo si ferma a tale azione poiché manca il pathos e l’imprevedibilità dell’originale, ma questo forse lo sapevamo già o lo potevamo immaginare.

Chi invece viene prepotentemente chiamato in causa nella pellicola, oltre che per citazionismo anche e soprattutto per ritmo e frenesia, è James Cameron, autore di quell’Aliens – Scontro Finale del 1986 che tanto ha divertito e stupito il pubblico in sala, così da essere definito, senza alcun timore reverenziale nei confronti del primo indiscusso capolavoro, un sequel perfetto ed altrettanto magnifico. L’azione in Alien Romulus è vibrante, a tratti incalzante, si viene trascinati quasi con prepotenza nelle profondità della stazione spaziale Romulus, priva di vita (umana) ma decisamente poco ospitale per via di una colonia di Xenomorfi, arrivati a bordo dopo la raccolta di una reliquia spaziale.

La sceneggiatura risente ovviamente del tempo, ma nonostante i paletti di Scott e la non originalità del prodotto possiamo tuttavia notare come le pecche di scrittura vengano quasi occultate dalla bravura di Alvarez dietro la macchina da presa. Con i suoi movimenti di macchina e con la giusta dose di thrilling ci troviamo catapultati nel terrore più puro, dove un gruppo di giovani scapestrati, figli del lavoro senza scrupoli della Weyland-Yutani su una colonia mineraria, vengono “attratti” da un segnale proveniente dallo spazio, il relitto della Romulus.

La fotografia alterna una palette di colori dal giallo ocra al nero più profondo che donano una luminosità particolarmente scarsa, ogni movimento nel nero può essere fatale per i malcapitati “turisti” della Romulus.

Non manca anche il clima e le situazioni da videogame, tanto che il regista si è apertamente confessato confermando le citazioni ad Alien Isolation e, a detta dello scrivente, ad altri videogame di genere come Doom, Dead Space e The Callisto Protocol.

A compimento di tutto la colonna sonora di Benjamin Wallfish, già apprezzato per Blade Runner 2049, che strizza l’occhio ai temi classici della saga senza però risultare eccessivamente invadente.

Per concludere, in Alien Romulus non manca la sensazione di deja-vù, ma l’azione e il tema trattato fanno capire che questa saga ha ancora molto da dire e possibilmente da spiegare. Alien Romulus non si limita ad essere un medley, ma punta ad avere una sua autorialità, tanto da calzare esemplarmente tra il primo e il secondo film.

Alien Romulus è al cinema dal 14 agosto, andate a vederlo.

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